giovedì 21 aprile 2016



Cari Amici anche quest’anno la legge finanziaria consente di destinare la quota del 5 per mille della tua imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), relative all’anno 2015, alle organizzazioni non-profit per sostenere le loro attività.Con questo meccanismo puoi vincolare una quota delle tue imposte al sostegno di Enti come il nostro che svolgono attività socialmente rilevanti.

Il 5 per mille non è un’imposta aggiuntiva ma viene decurtato da quanto destinato allo Stato... per devolverlo ad attività e progetti specifici (se non firmi, il 5x1000 non rimane comunque a te ma viene prelevato dallo Stato).

Apponendo la tua firma nel riquadro prescelto ed inserendo nei modelli per la dichiarazione dei redditi - CUD, 730 o Unico - il nostro codice fiscale 97202420820, comunicherai all’erario l’intenzione di devolvere il tuo contributo all'Associazione Fidelis Onlus
In base alla nuova formulazione del cinque per mille, questi sono i destinatari:


> Le organizzazioni non lucrative di utilità sociale
> Le associazioni di promozione sociale
> Le associazioni riconosciute che operano nei settori di cui l'articolo 10, c. 1, lett a), del D.Lgs n.460 del 1997;
> Gli enti di ricerca scientifica e universitaria;
> Gli enti di ricerca sanitaria;
> I comuni di residenza (sostegno alle attività sociali);
> Le associazioni sportive dilettantistiche riconosciute ai fini sportivi dal CONI a norma di legge;


COME FARE:

È davvero semplice:
compila il modulo 730, il CUD oppure il Modello Unico; firma nel riquadro "Sostegno delle associazioni non lucrative di utilità sociale, delle associazioni di promozione sociale e delle associazioni riconosciute....."

indica il codice fiscale dell’Associazione Fidelis Onlus:

97202420820

Può destinare il 5x1000 anche chi non compila la dichiarazione dei redditi, ovvero la persone che hanno solo il modello CUD fornitogli dal datore di lavoro o dall'ente erogatore della pensione.

È sufficiente compilare la scheda e presentarla, in busta chiusa:
> allo sportello di un ufficio postale o a uno sportello bancario che provvederà a trasmetterle all'Amministrazione finanziaria (il servizio è gratuito)oppure> a un intermediario abilitato alla trasmissione telematica (commercialista, CAF, etc.) Quest'ultimo deve rilasciare, anche se non richiesta, una ricevuta, attestante l'impegno a trasmettere le scelte.

Sulla busta occorre scrivere: “scelta per la destinazione del cinque per mille dell'Irpef", e indicare cognome, nome e codice fiscale del contribuente”
RICORDA: Il 5 per mille non sostituisce l'8 per mille e non costa nulla al contribuente, ma è un modo per poter scegliere quali realtà sostenere con le imposte che paghi. Si tratta di imposte che sarebbero comunque dovute andare allo Stato. Scegliendo di destinare il 5 per mille si sceglie che cosa finanziare con una parte delle proprie tasse




martedì 8 marzo 2016


8 Marzo 2016




...alle donne che oggi non andranno certo a festeggiare, a quelle donne cui il silenzio sembra essere diventato quasi un percorso di vita, a quelle donne cui le catene troppo pensanti dell'indifferenza le privano di una scelta che potrebbe cambiare loro la vita, a quelle donne a cui dobbiamo la vita ma spesso doniamo la morte va il mio pensiero...non solo ieri, non solo oggi, ma sempre...

Associazione Fidelis Onlus
Presidente 
Tortorici Gaetano

domenica 6 marzo 2016

lunedì 29 febbraio 2016



8 MARZO 
UN CAPITOLO (QUASI) TUTTO DA RISCRIVERE E COMPRENDERE...

Per la ricorrenza dell’8 Marzo, Giornata Internazionale della donna, l’Associazione Fidelis Onlus il Comune di Borgetto e l’Istituto comprensivo Borgetto-Partinico hanno organizzato una giornata di riflessione sulla tematica della violenza di genere e le pari opportunità.
Da sempre polo principale nella salvaguardia dei diritti delle donne, nel distretto socio-sanitario 41, il Centro antiviolenza A.D.I.D. se da un lato sottolinea l’importanza strategica dei centri antiviolenza nei territori dall’altra evidenzia nella relazione con le Istituzioni locali, Enti pubblici, scuole, forze dell’Ordine, un’importante tassello all’interno di un mosaico fatto di prevenzione-informazione-assistenza.
Ecco perché la giornata dell’8 Marzo, riveste per noi, spogliandola da ogni concetto di mercificazione del corpo e privandola del suo, ormai troppo spesso, sapore propagandistico, una cornice di messaggi carichi di significati proiettando il nostro impegno verso la società civile e le nuove generazioni.
In questo durissimo lavoro, è bene sottolinearlo, quanto sia determinante la scuola che per dirla con la Preside Rosalia Gioglio dell’Istituto Comprensivo Borgetto-Partinico: “ ….è il nostro passaporto per il futuro, poiché il domani appartiene a coloro che oggi si preparano ad affrontarlo”. Ed è in questa simbiosi fatta di rete e collaborazione che bisogna investire sul futuro, dunque. “A partire dalle scuole e famiglie, sui i programmi scolastici, introducendo ore di educazione alla parità di genere. Perché se la violenza è un segno e come tale va analizzato nelle sue complesse implicazioni sociali, economiche e politiche, non bisogna trascurare l’aspetto educativo.”
In questa giornata sarà proiettato il cortometraggio su Franca Viola, sponsorizzato dal Centro commerciale La Fontana, “Atru nca nenti cci fu…”.  “Appena diciassettenne, Franca Viola, dopo avere rifiutato le avances di un innamorato, viene rapita mentre si trova nella sua casa di Alcamo. Filippo Melodia, rampollo della famiglia mafiosa dei Rimi, la tiene segregata e la violenta per una settimana intera. L’epilogo sarebbe stato il matrimonio riparatore, previsto dalla legge italiana come ‘ristoro’ in caso di violenza sessuale. Il padre di Franca invece finge di accettare un accordo per liberare la figlia, avvisa i carabinieri e fa arrestare Melodia. Franca Viola non volle in alcun modo acconsentire alle nozze previste, creando un precedente seguito da molte donne. E’ così che diventa unicona del movimento femminista italiano.”
In qualità di Presidente dell’Associazione Fidelis Onlus voglio ringraziare tutti colori che si sono impegnati per rendere questa giornata un momento importante di condivisione e consapevolezza. Ringrazio per il supporto e l’apporto alla giornata il Sindaco del Comune di Borgetto Gioacchino De Luca, il Presidente del Consiglio Dott.ssa Elisabetta Liparoto, e L’assessore alle Pari opportunità Dott.ssa Claudia Antonela Machonici. Infine, ma non per ultimi, la Preside Dottssa Rosalia Gioglio dell’Istituto comprensivo Borgetto-Partinico che ha sposato con professionalità e entusiasmo tutti i lavori progettuali, gli studenti per i loro elaborati, e gli insegnanti che li hanno coadiuvati.
Vi aspettiamo a Borgetto alle ore 16:00 presso l’edificio dell’Istituto comprensivo Borgetto-Partinico, Salamone Marino.

Tortorici Gaetano

Presidente Associazione Fidelis Onlus











SPONSOR CORTOMETRAGGIO


giovedì 25 febbraio 2016




Picchiata dal fidanzato e ridotta in fin di vita, parla il papà: "Noi abbandonati"

Parla il padre della ragazza che due anni fa è stata massacrata di botte dal fidanzato e ridotta in stato vegetativo. "A breve sarà dimessa dal Santa Lucia. Qui ha fatto progressi con le cure riabilitative che ora saranno a carico della famiglia"

ROMA - "In tredici mesi Chiara è migliorata tanto. Nella gravità del suo danno cerebrale è passata da uno stato di minima coscienza a uno di minima interazione. Ora però quel percorso, durato anche oltre il dovuto, si interromperà, nonostante le tante promesse ricevute".

E' amareggiato Maurizio Insidioso Monda, il papà di Chiara, la giovane picchiata e ridotta in fin di vita dal suo fidanzato. Da tre anni è al fianco di sua figlia, per curarla e per ottenere giustizia nei confronti di chi, Maurizio Falcioni, l'ha ridotta così.

Nonostante le tante parole spese dalle istituzioni nessuno si è fatto avanti per aiutarlo, per garantire un supporto per le terapie necessarie a far andare avanti questi miglioramenti. "Tra qualche giorno andremo in una struttura a Cinecittà", spiega il papà di Chiara. "Un'eccellenza, un ottimo centro, ma le cure riabilitative garantite qui dovremo pagarcele da soli". Chiara, racconta a RomaToday Maurizio, costa 4.000 euro al mese. Al Santa Lucia ha svolto terapie riabilitative di diverso tipo, dalle cure logopediche a quella per la motricità. Cure che fuori dal centro dell'Ardeatina saranno ridotte e a carico della famiglia.

C'è grande dignità nelle parole di Maurizio Insidioso. "Io non ho mai chiesto nulla a nessuno. Sono state sempre le istituzioni a cercarmi, a parlare con me, a volermi aiutare. Tutto a parole però, perché poi di fatti se ne sono visti pochi". E' di poche settimane fa addirittura un invito alla Camera per presentare un disegno di legge contro la violenza sulle donne. "Da allora non ho sentito più nessuno. Io non chiedo una casa, non chiedo soldi. Dico solo che se Chiara doveva essere un caso particolare, grazie al quale lanciare anche dei messaggi di speranze, beh possiamo dire che questo messaggio non partirà".

Anche per questo ieri Maurizio ha deciso di non incontrare le istituzioni, dal presidente della Repubblica al ministro della Salute Lorenzin, in visita al Santa Lucia. "Se vogliono saliranno loro da Chiara. Io ormai ho poco da dir loro". E con amarezza e rassegnazione chiude: "Chiara la porterei lontano dall'Italia anche oggi. Questo Paese non le dà nessuna speranza ormai".

Fonte: Today

sabato 20 febbraio 2016



Abusi sessuali, in tribunale le vittime non trovano né giustizia né solidarietà

"Signora non sarà mica di primo pelo lei"

Signora non sarà mica di primo pelo lei? Queste sono le parole che un  giudice ha rivolto a una donna, vittima di stupro, colta da un attacco di panico mentre testimoniava.  Eppoi ci sono quei magistrati che giudicano “seduttivi” i comportamenti di bambine, anche di 4 anni, vittime di stupro.
Nel luogo che  dovrebbe  restituire  dignità alle vittime di violenza spesso si consuma il tradimento della fiducia nella giustizia. Vergognose sentenze  girano le spalle alla ragione e alla  legge, lasciando impunito chi si macchia di stupri, perchè sono fondate su  stereotipi e pregiudizi  che appannano la libertà di giudizio di magistrati  non adeguatamente formati e, loro malgrado, portatori sani di sessismo.
Il 15 febbraio scorso  a Firenze, durante il convegno La legge contro la violenza sessuale vent’anni dopo organizzato da D.i.Re donne in rete contro la violenza, in collaborazione con Artemisia e il Cismai, si è fatto il punto della situazione attuale nei tribunali italiani e non c’è da essere molto ottimisti. Avvocate, magistrate, psicologhe, ginecologhe, operatrici dei Centri Antiviolenza, docenti universitarie, assistenti sociali si sono incontrate per riflettere sul rispetto dei diritti delle donne, delle bambine e dei bambini all’interno dei percorsi giudiziari e per domandarsi  perché si è tornati indietro.
Nel 1979 la Rai trasmise Processo per stupro, documentario seguito da 9 milioni di spettatori che assistettero alla  colpevolizzazione della vittima (difesa dall’avvocata Tina Lagostena Bassi). Oggi quel filmato è conservato al MoMA di New York  ed appartiene ad un passato che, in un eterno ritorno, abita  ancora i tribunali e le sentenze. Trascorsero quasi vent’anni dalla trasmissione di quel filmato perché nel 1996, finalmente, la legge fortemente voluta dal movimento delle donne (la n. 66), sancisse che lo stupro non  fosse più un reato contro la morale ma un reato contro la persona. Ci si illuse che finalmente si potesse porre fine al processo alle vittime. Non è andata così.
L’apertura del convegno è stata dedicata ai bambini e alle bambine con la presentazione di alcuni dati: su 100mila bambini seguiti dai servizi sociali con problemi di maltrattamento, il 4% ha subito abusi sessuali. Il fatto che l’analogo dato internazionale si aggiri intorno al 7%  fa pensare che il fenomeno sia ancora in gran parte sommerso. Per i minori la legge 66 rappresentò una riforma importantissima nelle aule di tribunale, perché, al diritto di tutela nell’ascolto della testimonianza, si aggiunse il diritto all’accompagnamento psicologico. A questa legge seguì la Convenzione di Lanzarote, un altro strumento di difesa dei minorenni dall’abuso e dallo sfruttamento sessuale. Eppure, ancora oggi, il trauma del bambino e il suo essere testimone della violenza viene messo continuamente in discussione e Gloria Soavi, presidente del Cismai, ha detto che, a volte, viene considerata un’attenuante la presenza della bambina in rete con profili che sono giudicati seduttivi dagli inquirenti e dai giudici.
Se ci sono pregiudizi sulla violenza sui minori con le donne non va meglio. Le vittime finiscono per essere colpevolizzate perché indagate con lo sguardo della cultura moralista e misogina del sospetto “perché lei ci stava”, “perché lei era uscita la sera”, “perché lei era ubriaca”, “perché era disinibita”.  La situazione è  problematica anche per il maltrattamento familiare. Fabio Roia, magistrato, ha  affermato che ancora oggi nei tribunali  non si conoscono le dinamiche e le caratteristiche della violenza domestica ed è emerso un dato inquietante da  una ricerca condotta dalla Seconda Università degli Studi di Napoli:  il 70% delle donne uccise da uomini, aveva sporto denuncia.  E allora cosa non funziona nel sistema?
La giudice Paola Di Nicola ha detto che le donne non sono credute e sono vittime di pregiudizi di genere mentre Fabio Roia ha stigmatizzato la cultura sessista che ancora impera tra i magistrati: “La forza dello stereotipo è una profezia che si autoavvera. La narrazione fondata sul pregiudizio è quella ritenuta più attendibile perché il pregiudizio è diffuso. In molti casi la vittima è anche unico testimone di quanto avvenuto e dunque è molto importante il modo in cui viene raccolta questa testimonianza, e anche che la sua testimonianza sia tienuta affidabile. Invece spesso viene richiesto che la vittima si discolpi da attteggiamenti considerati troppo disinvolti, o da una vita libera, prima di essere creduta. Questo è un paradosso perché mentre la vittima testimonia sotto giuramento, l’imputato non giura e ha diritto di costruirsi una strategia difensiva volta a screditare la vittima”.
L’approccio alla testimonianza  della parte lesa continua ad essere la ripetizione di un racconto dettagliatissimo fin nei minimi particolari delle violenze subite, esponendo le vittime ad una sorta di prova ordalica (può accadere anche a bambine o bambini) e a ciò si aggiunge l’esperienza terribile di sentire stravolgere nel processo la narrazione di ciò che in prima persona si è vissuto. Eppure ci sono gli strumenti per modificare il modo di condurre le indagini e di valutare la testimonianza delle vittime. Le ricerche scientifiche, per esempio, hanno da tempo scoperto che il trauma impedisce la capacità di memorizzare in maniera lineare gli eventi, e quei “punti oscuri” che vengono usati contro la credibilità delle donne dovrebbero essere letti, invece, come un indizio che il trauma c’è stato.
Spesso la libertà di giudizio dei magistrati è anche limitata da illazioni o cattive interpretazioni di fatti scollegati dal reato o da aspettative irrealistiche sui comportamenti che dovrebbe avere una vittima dopo la violenza: come il caso della donna che non venne creduta perché il giorno seguente lo stupro aveva avuto un rapporto sessuale col proprio compagno. La lancetta del tempo ci ha riportato indietro anche nella società. Molte donne non sanno riconoscere la violenza anche se avvertono disagio e sofferenza e molti uomini, soprattutto giovani, non sanno nemmeno che ciò che hanno commesso sia un reato e sono stupiti di dover affrontare un processo. Se i comportamenti sessuali delle donne sono cambiati  rispetto a trent’anni fa, non è cambiato il modo di guardare alla sessualità femminile e ai corpi delle donne percepite non come soggetti desideranti che hanno diritto di scegliere come vivere la loro sessualità ma come oggetti che si rendono disponibili e che quindi devono accettare lo stupro come conseguenza dei loro comportamenti.
Quando le porte del tribunale si chiudono davanti alla richiesta di giustizia delle donne restano fuori le loro parole: “Non mi riconosco più, non sarò più la stessa persona che ero, non mi fido nemmeno di chi amo, a volte ho paura anche di loro. In certi momenti non riesco a sentirmi, a provare un sentimento, mi sento sola come in un deserto piatto senza fine. Mi è stato tolto qualcosa che non potrò più riavere, chi me l’ha tolto nega di averlo fatto, o forse nemmeno lo sa. Ho paura che nessuno mi creda, mi sento sporca indegna nessuno potrà più amarmi, a volte io stessa non riesco a credere a quanto è successo, penso di impazzire”.
Chi  subisce violenza, ha spiegato Teresa Bruno, psicologa dell’associazione Artemisia, “si percepisce privo di senso e di valore e, spesso, se ne assume la colpa. E’ un attacco maligno al senso d’identità e ai legami che permettono un pensiero coerente su se stessi e il mondo. L’impunità dei persecutori è garantita dalla vergogna e dal silenzio delle vittime e dal volgere lo sguardo altrove dei testimoni. Studi e ricerche individuano il sostegno sociale come primo fattore di guarigione dal trauma, sia esso collettivo o individuale”.
La comprensione e la solidarietà degli esterni, l’ascolto non giudicante, la capacità di non voltarsi dall’altra parte relegando nella solitudine, nel silenzio e nell’impotenza le vittime e i testimoni coinvolti, sono le prime medicine.
Questo è ciò che dovrebbero trovare le vittime di violenza nei tribunali.

Di:
 - Attivista presso il Centro antiviolenza Demetra

lunedì 15 febbraio 2016





FRANCA VIOLA

"Non fu un gesto coraggioso. Ho fatto solo quello che mi sentivo di fare, come farebbe oggi una qualsiasi ragazza: ho ascoltato il mio cuore, il resto è venuto da sé. Oggi consiglio ai giovani di seguire i loro sentimenti; non è difficile. Io l'ho fatto in una Sicilia molto diversa; loro possono farlo guardando semplicemente nei loro cuori"

ORIGINI
Francesca Viola, detta Franca, era figlia di una coppia di coltivatori diretti e, all'età di quindici anni, con il consenso dei genitori si fidanzò con Filippo Melodia, nipote del mafioso Vincenzo Rimi e membro di una famiglia benestante. Tuttavia in quel periodo Melodia venne arrestato per furto ed appartenenza ad una banda mafiosa e ciò indusse il padre di Franca, Bernardo Viola, a rompere il fidanzamento; per queste ragioni, la famiglia Viola fu soggetta ad una serie di violente minacce ed intimidazioni: il loro vigneto venne distrutto, il casolare annesso bruciato e Bernardo Viola addirittura minacciato con una pistola al grido di "chista è chidda che scaccerà la testa a vossia", ma tutto ciò non cambiò la sua decisione.

LA VICENDA DEL MATRIMONIO
Infine il 26 dicembre 1965, all'età di 17 anni, Franca Viola fu rapita (assieme al fratellino Mariano di 8 anni, subito rilasciato) da Melodia, che agì con l'aiuto di dodici amici, con i quali devastò l'abitazione della giovane ed aggredì la madre che tentava di difendere la figlia. La ragazza fu violentata e quindi segregata per otto giorni in un casolare al di fuori del paese e poi in casa della sorella di Melodia ad Alcamo stessa; il giorno di Capodanno, il padre della ragazza fu contattato dai parenti di Melodia per la cosiddetta "paciata", ovvero per un incontro volto a mettere le famiglie davanti al fatto compiuto e far accettare ai genitori di Franca le nozze dei due giovani. Il padre e la madre di Franca, d'accordo con la polizia, finsero di accettare le nozze riparatrici e addirittura il fatto che Franca dovesse rimanere presso l'abitazione di Filippo, ma il giorno successivo, 2 gennaio 1966 la polizia intervenne all'alba facendo irruzione nell'abitazione, liberando Franca ed arrestando Melodia ed i suoi complici.
Secondo la morale del tempo, una ragazza uscita da una simile vicenda, ossia non più vergine, avrebbe dovuto necessariamente sposare il suo rapitore, salvando l'onore suo e quello familiare. In caso contrario sarebbe rimasta zitella, additata come "donna svergognata". All'epoca, la legislazione italiana, in particolare l'articolo 544 del codice penale, recitava: "Per i delitti preveduti dal capo primo e dall'articolo 530, il matrimonio, che l'autore del reato contragga con la persona offesa, estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo; e, se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali", in altre parole ammetteva la possibilità di estinguere il reato di violenza carnale, anche ai danni di minorenne, qualora fosse stato seguito dal cosiddetto "matrimonio riparatore", contratto tra l'accusato e la persona offesa; la violenza sessuale era considerato oltraggio alla morale e non reato contro la persona.
Il caso sollevò in Italia forti polemiche divenendo oggetto di numerose interpellanze parlamentari. Durante il processo che seguì, la difesa tentò invano di screditare la ragazza, sostenendo che fosse consenziente alla fuga d'amore, la cosiddetta "fuitina", un gesto che avrebbe avuto lo scopo di ottenere il consenso al matrimonio, mettere la propria famiglia di fronte al fatto compiuto e che il successivo rifiuto di Franca di sposare il rapitore sarebbe stato frutto del disaccordo della famiglia per la scelta del marito. Filippo Melodia fu condannato a 11 anni di carcere, ridotti a 10 con l'aggiunta di 2 anni di soggiorno obbligato nei pressi di Modena. Pesanti condanne furono inflitte anche ai suoi complici dal tribunale di Trapani, presieduto dal giudice Giovanni Albeggiani.

Eventi successivi
La norma invocata a propria discolpa dall'aggressore, l'articolo 544 del codice penale, sarà abrogato con la legge 442, emanata il 5 agosto 1981 a sedici anni di distanza dal rapimento di Viola, e solamente nel 1996 lo stupro sarà legalmente riconosciuto in Italia non più come un reato "contro la morale", bensì come un reato "contro la persona".
Come la stessa Franca ricordò anni dopo in una delle rare interviste concesse alla stampa, il futuro marito le avrebbe dichiarato di non temere ritorsioni da parte dei Melodia, dichiarando: "Meglio vivere dieci anni con te che tutta la vita con un'altra". La coppia ebbe due figli: si trasferì a vivere a Monreale per i primi tre anni di matrimonio, per poi tornare ad Alcamo. Giuseppe Saragat, Presidente della Repubblica, inviò alla coppia un dono di nozze per manifestare a Franca Viola la solidarietà e la simpatia sua e degli italiani. In quello stesso anno i due sposi furono ricevuti dal papa Paolo VI in udienza privata.
Il regista Damiano Damiani, nel 1970, realizzò il film La moglie più bella, ispirato alla vicenda e interpretato da un'esordiente e giovanissima Ornella Muti e il cantautore Otello Profazio le dedica la canzone "La Regina senza Re".
La scrittrice Beatrice Monroy ha raccontato nel 2012 la sua vicenda nel libro Niente ci fu (ed. La Meridiana) [5] che venne però rinnegato dalla stessa Franca Viola.

Gli anni 2000
Franca Viola ha due figli e una nipote e vive ad Alcamo. Il 22 ottobre 2011 ha lanciato un appello sul Giornale di Sicilia per aiutare il figlio malato, costretto a continui trasferimenti dall'ospedale Cervello al Policlinico per curarsi. Nella nuova intervista al giornalista Riccardo Vescovo, la donna è tornata ad apparire in pubblico dopo 43 anni attraverso una foto comparsa sul giornale. A circa 24 ore dall'appello, il figlio ha ottenuto il trasferimento definitivo, evitando i dolorosi spostamenti quotidiani. L'8 marzo 2014, in occasione della festa della donna, Franca Viola è stata insignita al Quirinale dell'onorificenza di Grande Ufficiale dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con la motivazione: "Per il coraggioso gesto di rifiuto del matrimonio riparatore che ha segnato una tappa fondamentale nella storia dell'emancipazione delle donne nel nostro Paese" 

Fonte: Wikipedia


Lasciatevi trasportare dalla voce di Carlo Lucarelli del radiodramma di Radio DeeJay!
In questa puntata ci viene raccontata la storia di una donna forte che con un gesto di coraggio ha aiutato la crescita civile del mondo delle donne nell'Italia del dopoguerra.





venerdì 5 febbraio 2016




Femminicidio e la cultura che subordina le donne agli uomini
di Nadia Somma



I primi due giorni di febbraio sono stati scossi dall‘uccisione di Luana e Marinella e dall’aggressione feroce e brutale di Carla cosparsa di alcol e data alle fiamme dal suo compagno. Atti di ordinaria violenza maschile accaduti ad otto ore di  distanza l’uno dall’altro.

Dall’inizio dell’anno c’erano già state altre violenze contro le donne, ricordate ieri da Michela Murgia, che con la usuale cadenza di una ogni tre giorni,  sono  entrate nella statistica annuale sul femminicidio. Le storie di Carla, incinta all’ottavo mese di gravidanza, di sua figlia Giulia Pia nata col taglio cesareo, hanno spezzato l’apatia a e hanno squarciato quel velo di torpore e di indifferenza che  rende accettabile, collettivamente,  l’ordinario esercizio di violenza maschile. Una violenza che viene  narrata e rimossa nello stesso tempo, quando diventa  elemento di consumo nella cronaca nera, nei programmi morbosi dove il tema del femminicidio si consuma e si getta via con i peggiori stereotipi e le trite banalità.

Raptus, delitto passionale, amore non corrisposto accompagnano la giustificazione collettiva della violenza maschile che “capita” a qualche donna che   ha osato compiere una sfida.  Camminando per strada la notte, andando in discoteca, ubriacandosi, appagando  la propria sessualità, tradendo, scegliendo di separarsi  da un marito che era diventato insopportabile  a causa delle violenze o semplicemente perché le aveva stancate.  Così  le donne sfidano gli uomini e il  destino e “se la cercano“. Vivendo.

Nei prossimi mesi leggeremo ancora di uomini che uccidono o feriscono, delle  loro  fughe vigliacche  col suicidio o su auto in corsa, lontano  dai luoghi dei loro  crimini. E dopo i loro arresti, leggeremo ancora le meschine giustificazioni di stupri, botte e uccisioni e le loro difese costruite sulla diffamazione della vittima e ci toccherà ancora ascoltare commenti inadeguati alla gravità  delle azioni commesse.

Paolo Pietropaolo, quello che a 40 anni  sulla sua pagina Fb, si fregiava di essere un disadattato, dopo aver dato fuoco alla compagna incinta, ha detto di aver fatto una cazzata come altri autori di femminicidio, che lo hanno preceduto, hanno fatto in passato.

Se  vogliamo fare collettivamente  un lavoro di coscienza dobbiamo smettere di aderire alla cultura che subordina le donne agli uomini e trovare altre chiavi di lettura dei  femminicidi. Dobbiamo vedere con chiarezza  il cattivo nutrimento dell’anima di uomini che uccidono, feriscono, stuprano o umiliano, e saper analizzare e cambiare  il  linguaggio che  costruisce  relazioni distorte con le donne. Quali miti o narrazioni sull’invenzione della virilità dobbiamo combattere? Quali i riferimenti culturali che  rendono  questi uomini così desolatamente uguali uno all’altro: privi di ogni  empatia e di consapevolezza per il  dolore arrecato alle loro compagne, rancorosi per una frustrazione tanto profonda e impotente quanto assetata di una onnipotenza che li spinge  sempre a distruggere,  convinti di avere il diritto a una dedizione femminile eterna e incondizionata e capaci di dire dopo un massacro per non averla ottenuta, di aver fatto (solo) una cazzata.


giovedì 4 febbraio 2016







Violenza sulle donne: unirsi al coro per fare la voce grossa



Non va bene, proprio non va. Come uomo comincio a percepire il timore di essere guardato da una donna come minaccia: appartengo al genere che la cultura vuole “dominante” e che sempre più spesso, là dove non arriva con la cultura, imbocca la scorciatoia della violenza. E anche questa è cultura, maledetta, ma tale.
L’Associazione Rising-Pari in Genere di Roma, impegnata da anni in ogni forma di lotta alla violenza di genere, sono donne, quelle donne che, come uomo, invidio per coraggio e talento e come uomo sono onorato di unirmi al loro coro, nel dare spazio alla loro lettera…

di Fogliazza - IlFattoQuotidiano


 

Al Presidente del Consiglio dei Ministri
Matteo Renzi
Alla Presidente della Camera dei Deputati
On. Laura Boldrini
Al Presidente del Senato
On. Pietro Grasso
Presidente,
nelle ultime ventiquattr’ore due donne sono state uccise, una terza è in fin di vita. Luana, strangolata dal suo ex ; Marinella, sgozzata dal marito; Carla, ricoverata in fin di vita dopo che il suo ex  l’ha cosparsa di alcool e le ha dato fuoco (e Carla era incinta all’ottavo mese). Tre storie di ordinaria violenza famigliare; tre storie di femminicidio; tre storie della stessa guerra, ferocissima, contro le donne, che ci riguarda tutte (e tutti).
Una guerra che genera solitudine, isolamento, senso di colpa. Le donne si sentono in colpa per quanto subiscono; tendono a trovare un alibi, a giustificare la violenza sino a sentirsi responsabili di quanto accaduto, riducendosi al silenzio. E’ un fenomeno, quello della violenza contro le donne, che continua a essere sottovalutato, non emergendo nella sua interezza: quanti episodi, soprattutto quelli in ambiente famigliare, vengono vissuti come normali?  
Tre storie di femminicidio di cui conosciamo i responsabili penali: mariti, ex mariti, partner rifiutati che non accettano l’autonomia femminile. E quando la donna afferma la propria libertà e autodeterminazione, la cercano, la minacciano, la picchiano, talvolta la uccidono.
Tuttavia c’è un’altra responsabilità, quella politica, e la mancanza di una ministra alle pari opportunità ne è testimonianza. Per questo ci rivolgiamo a lei, Presidente: è indispensabile istituire un riferimento preciso nel governo, una figura competente che si occupi a tempo pieno del tema della violenza contro le donne, che sia un riferimento preciso  per le Associazioni e i Centri Antiviolenza che quotidianamente denunciano e contrastano questo fenomeno.
Confidiamo nel suo interesse e ci rendiamo disponibili a un confronto.
Cordialmente





Torino, distrutta una "panchina rossa", simbolo della lotta alla violenza contro le donne

La panchina rossa di piazza Bottesini distrutta dai vandali 

Il sindaco Fassino : un gesto  compiuto in anonimato vile che offende la comunità oltre che prima di tutto le donne



Le panchine rosse  di Karim Cherif sono il simbolo della lotta alla violenza sulle donne. “Per questo questo non è solo un atto vandalico ma uno sfregio al messaggio che portano”, dice Nadia Conticelli, presidente della sesta circoscrizione dove  i vandali hanno distrutto una delle circa 20 panchine che mesi fa sono stati posizionate nella zona nord di Torino. Commenta il sindaco Piero Fassino: "" Un gesto volento, compiuto in un anonimato vile e che offende la comunità,  oltre che -prima di tutto -le donne, a cui l"iniziativa delle "panchine rosse" è dedicata.  Lavoreremo perché  i responsabili vengano individuati e puniti. Intorno alle "panchine" resta alta l'attenzione delle istituzioni e dei cittadini".
I responsabili hanno preso di mira la panchina di piazza Bottesini, non lontano da piazza Foroni e proprio di fronte alla sede e al monumento degli alpini.  “Un luogo di grande passaggio e dove tutto possono vedere quello che è stato fatto. Sono stati proprio i cittadini indignati ad avvisarci questa mattina”, spiega ancora Conticelli che domani presenterà denuncia contro i vandali che hanno spezzato in due la seduta di legno.

Panchine simili sono state sistemate in diversi quartieri, le ultime 21 sono state inaugurate il una decine di giorni fa. “Il progetto esiste da due anni e fino ad oggi non abbiamo mai
avuto problemi  - prosegue Contincelli - Già domani i nostri uffici si metteranno al lavoro per sostituire la panchina danneggiata perché non dobbiamo arrenderci al degrado. Il fatto di essere un quartiere difficile non significa che a Barriera non si possano fare battaglie di civiltà".
Nella zona non ci sono telecamere ma la piazza è sempre molto frequentata. Per questo i vandali hanno aspettato che facesse buio per entrare in azione.










Femminicidio, dieci donne che non possiamo dimenticare
di MICHELA MURGIA



È QUESTIONE di concentrazione: di certe cose non ci occupiamo fino a quando non si verificano tutte insieme in modo tale che diventa impossibile ignorarle. Così tre donne massacrate per mano dei loro compagni in appena due giorni hanno riacceso il faro dell'attenzione pubblica sul tema del femminicidio. Si chiamano Marinella, Carla e Luana, ma è facile appropriarsi di un nome per rendere le persone personaggi e dire che quelle storie erano le loro e non la nostra.

Ciascuna di queste donne va immaginata con il nome che diamo a noi stesse. A Catania il primo febbraio una è morta per mano del marito, che l'ha strangolata davanti al figlio di 4 anni. Lo stesso giorno a Pozzuoli una di loro, incinta al nono mese, è stata ridotta in fin di vita dal compagno che le ha dato fuoco. Ieri un'altra è morta quasi decapitata dal marito, poi fuggito contromano in autostrada. Fanno scalpore, eppure non sono le prime notizie dell'anno sulla violenza alle donne. Il 2016 era cominciato da appena due giorni quando i carabinieri hanno scoperto a Ragusa una donna segregata in casa dal suo convivente, che da due anni a suon di botte le impediva di andarsene. Lo stesso giorno ad Ancona una donna veniva picchiata da quello che era stato il suo fidanzato, prima che lo lasciasse per le violenze. Il 3 di gennaio una donna di Città di Castello è stata uccisa da suo figlio con dieci coltellate, e il 5 a Torino una'altra è quasi morta per le violenze inflittele dal marito, che l'ha più volte colpita in testa con un bicchiere prima che un vicino chiamasse la polizia. Il 9 gennaio a Firenze una donna è morta strangolata da un uomo che prima c'era andato a letto e poi l'ha uccisa per derubarla. Strangolata è morta anche la donna che il 12 di gennaio è stata trovata nel suo letto, ammazzata dall'uomo che frequentava. Il 15 e il 16 di gennaio due nonne sono stata uccise dai rispettivi nipoti: una è stata massacrata a Mestre con una sega elettrica, l'altra a Sassari con un vaso di cristallo. Il 27 gennaio a Cetraro una donna è stata uccisa per strada dal suo ex cognato, che le dava la colpa della fine del proprio matrimonio. Il 30 gennaio una donna è stata ferita gravemente dal marito, che prima di aggredire lei con un coltello aveva ucciso i loro figli di 8 e 13 anni.

In questo elenco non ci sono le decine di violenze, i maltrattamenti, le riduzioni della libertà e i tentati omicidi in ambito familiare le cui eco spesso non ci arrivano neppure. Sappiamo però che erano tutte a carico di donne che vivevano accanto a noi, in questa strana Italia ancora divisa tra voglia d'Europa e Family Day, ma incapace di riconoscere che c'è qualcosa di sbagliato e distruttivo nel modo in cui impostiamo i rapporti di relazione che chiamiamo "famiglia". Che sia tradizionale o arcobaleno, che lo stato la riconosca o meno, quel sistema di legami e la sua faccia oscura ci riguardano tutti e tutte,
allo stesso modo. Finché non affronteremo il nodo del potere nascosto in quello che chiamiamo amore, il Paese che ammazza le donne non sarà un buon posto per nessuno.

(Michela Murgia è scrittrice, il suo ultimo romanzo è Chirù, per Einaudi)



giovedì 8 ottobre 2015



STIPULATO IL PROTOCOLLO D'INTESA TRA IL COMUNE DI SAN GIUSEPPE JATO E L'ASSOCIAZIONE FIDELIS ONLUS.


Un tassello importante si aggiunge alle attività progettuali del Centro Antiviolenza A.D.I.D. - Aiuto donne in difficoltà nonché alla costituzione di una rete di relazione e d'intervento territoriale per quanto concerne la lotta contro la violenza di genere.

La costruzione di una rete Antiviolenza stabile e sinergica ha il fine di coinvolgere tutti gli attori istituzionali del territorio (giudiziario, di polizia, sociale, sanitario, educativo) attraverso forme innovative di relazione e partecipazione, nella logica della multidisciplinarietà. 

La violenza contro le donne è, infatti, un fenomeno complesso e diffuso e non privato, che deve essere affrontato dall’intera comunità. Nessun soggetto, individuale o collettivo, pubblico o privato, è sufficiente da solo a rispondere a situazioni di maltrattamento e violenza.

La Rete Antiviolenza A.D.I.D. rappresenta una modalità innovativa in quanto realizza il superamento della settorialità degli interventi rendendo di conseguenza più efficaci, immediate ed appropriate le risposte.
La rete va vista, pertanto, non come una ulteriore struttura burocratica, ma come una nuova prassi, che va oltre la semplice unione tra Servizi, ed è basata sul reciproco riconoscimento attraverso:

·          Individuazione delle aree di standardizzazione e di miglioramento dei processi e delle procedure di integrazione e collaborazione al fine di:
1.     Pervenire ad una visione comune sulla violenza tra operatori di servizi diversi che operano sul medesimo territorio o su territori che si confronteranno col progetto. 
2.     Contrastare la violenza operativamente contrastare la violenza come modalità relazionale, producendo una cultura della non violenza diffusa.

  Ø Coordinamento e collaborazione tra istituzioni pubbliche e associazioni facilitando l’adozione di specifici protocolli operativi in grado di integrare tra loro le prestazioni dei diversi soggetti nel percorso di accoglienza e sostegno alle vittime, superando le frammentazioni e i vuoti di intervento. Il confronto fra reti territoriali favorirà la modellizzazione e trasferibilità degli interventi e la sperimentazione di pratiche operative su territori differenti a più vasta dimensione.
  Ø Monitorare e Valutare il sistema dei servizi di prevenzione, protezione e presa in carico relativo al fenomeno della violenza di genere attivo sui territori coinvolti. Saranno prese in esame le attività continuative o occasionali di tutti i soggetti che hanno responsabilità politiche, tecniche, operative sul fenomeno, nelle aree territoriali individuate. In particolare, si intende porre le basi e sperimentare un OSSERVATORIO UNICO in grado di analizzare l’efficacia e l’efficienza dei servizi pubblici e privati del territorio, di dare maggiori elementi di conoscenza dell’evoluzione qualitativa della violenza di genere, di fornire ulteriori elementi per il miglioramento degli interventi.

A nome dell'Associazione Fidelis Onlus ringrazio il Sindaco del Comune di San Giuseppe Jato, Dott. Davide Licari per la spiccata sensibilità mostrata verso la tematica,la giunta e il consiglio comunale per aver intrapreso con noi questa lotta che è innanzitutto difesa della dignità della donna e salvaguardia delle pari opportunità.

Un ringraziamento per l'apporto e la collaborazione attiva va al Presidente del Consiglio del Comune di Borgetto. Dott.ssa Elisabetta Liparoto.



Presidente Associazione Fidelis Onlus

Tortorici Gaetano





lunedì 10 agosto 2015



9 Agosto 2015

INAUGURAZIONE CENTRO ANTIVIOLENZA A.D.I.D.


La giornata di ieri sembra segnare un vero e proprio spartiacque tra il passato e il presente. Grato per tutto il lavoro svolto in questi anni e consapevole dell'enormi sfide che ci attendono all'interno del nostro territorio, l'inaugurazione del Centro Antiviolenza A.D.I.D. - Aiuto donne in difficoltà rappresenta un punto di non ritorno per quanto concerne la lotta contro ogni forma di violenza n...ei confronti della donna.

La giornata di ieri consegna nelle nostre mani una responsabilità enorme che condivideremo con tutte le forze istituzionali del distretto socio sanitario 41.

Siamo un po' tutti chiamati, a vario titolo, a scardinare questo tessuto sociale e culturale che soffoca e umilia la nostra terra.

La presenza dell'Arma dei Carabinieri, rappresentata dal Maresciallo Carlo Cesari che ringrazio, determina, un'importante passo avanti in quel lavoro di rete che abbiamo innescato con le scuole ,comuni, associazioni.

Inoltre volevo ancora una volta sottolineare la mia grandissima stima nei confronti del Sindaco Gioacchino De Luca che si è sempre interfacciato con noi con grande impegno e costanza, operando e collaborando anche come semplice cittadino, al di la del suo ruolo.

Non posso dimenticare quanto presente sia stata la Dottssa Elisabetta Liparoto , Presidente del Consiglio del Comune di Borgetto, in questo lungo, intenso e determinante percorso. Se dovessi elencare tutto quello che abbiamo fatto insieme in questi mesi non basterebbe una giornata intera. Ringrazio gli assessori del Comune i Borgetto per la loro presenza, Alessandro Santoro e Angela Landa, il Presidente del Consiglio del Comune di Partinico, Dott. Filippo Aiello per averci onorato della Sua presenza.

A tutti coloro che hanno partecipato voglio rinnovare i miei ringraziamenti. Si ringraziano gli sponsor che hanno sponsorizzato l'evento.


ARTICOLI, FOTO E VIDEO 
























Foto a cura di Francesco Amato















venerdì 31 luglio 2015



INAUGURAZIONE

DOMENICA 

09 Agosto 2015
Ore 11:00

Presso Ex Collocamento
Via Giacomo Leopardi - 2
90042 - Borgetto









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