Abusi
sessuali, in tribunale le vittime non trovano né giustizia né solidarietà
"Signora non sarà mica di primo pelo lei"
Signora non sarà mica di primo pelo lei? Queste sono le parole che un
giudice ha rivolto a una donna, vittima di stupro, colta da un attacco di
panico mentre testimoniava. Eppoi ci sono quei magistrati che giudicano
“seduttivi” i comportamenti di bambine, anche di 4 anni, vittime di stupro.
Nel luogo che dovrebbe restituire
dignità alle vittime di violenza spesso si consuma il tradimento della
fiducia nella giustizia. Vergognose sentenze girano le spalle alla
ragione e alla legge, lasciando impunito chi si macchia di stupri, perchè
sono fondate su stereotipi e pregiudizi che appannano la libertà di
giudizio di magistrati non adeguatamente formati e, loro malgrado,
portatori sani di sessismo.
Il 15 febbraio scorso a Firenze, durante il
convegno La legge contro la violenza sessuale vent’anni dopo
organizzato da D.i.Re donne in rete contro la violenza, in
collaborazione con Artemisia e il Cismai, si è fatto il punto della
situazione attuale nei tribunali italiani e non c’è da essere molto
ottimisti. Avvocate, magistrate, psicologhe, ginecologhe, operatrici dei
Centri Antiviolenza, docenti universitarie, assistenti sociali si sono
incontrate per riflettere sul rispetto dei diritti delle donne, delle bambine e
dei bambini all’interno dei percorsi giudiziari e per domandarsi perché
si è tornati indietro.
Nel 1979 la Rai trasmise Processo
per stupro, documentario seguito da 9 milioni di spettatori che
assistettero alla colpevolizzazione della vittima (difesa dall’avvocata Tina
Lagostena Bassi). Oggi quel filmato è conservato al MoMA di New York
ed appartiene ad un passato che, in un eterno ritorno, abita ancora
i tribunali e le sentenze. Trascorsero quasi vent’anni dalla trasmissione di
quel filmato perché nel 1996, finalmente, la legge fortemente voluta dal movimento
delle donne (la n. 66), sancisse che lo stupro non fosse più un reato
contro la morale ma un reato contro la persona. Ci si illuse che
finalmente si potesse porre fine al processo alle vittime. Non è andata così.
L’apertura del convegno è stata dedicata ai bambini e
alle bambine con la presentazione di alcuni dati: su 100mila bambini
seguiti dai servizi sociali con problemi di maltrattamento, il 4% ha subito
abusi sessuali. Il fatto che l’analogo dato internazionale si aggiri
intorno al 7% fa pensare che il fenomeno sia ancora in gran parte
sommerso. Per i minori la legge 66 rappresentò una riforma importantissima
nelle aule di tribunale, perché, al diritto di tutela nell’ascolto della
testimonianza, si aggiunse il diritto all’accompagnamento psicologico. A
questa legge seguì la Convenzione di Lanzarote, un altro strumento di difesa
dei minorenni dall’abuso e dallo sfruttamento sessuale. Eppure, ancora oggi, il
trauma del bambino e il suo essere testimone della violenza viene messo
continuamente in discussione e Gloria Soavi, presidente del Cismai, ha
detto che, a volte, viene considerata un’attenuante la presenza della
bambina in rete con profili che sono giudicati seduttivi dagli inquirenti e dai
giudici.
Se ci sono pregiudizi sulla violenza sui minori con le
donne non va meglio. Le vittime finiscono per essere colpevolizzate perché
indagate con lo sguardo della cultura moralista e misogina del sospetto “perché
lei ci stava”, “perché lei era uscita la sera”, “perché lei era ubriaca”,
“perché era disinibita”. La situazione è problematica anche
per il maltrattamento familiare. Fabio Roia, magistrato, ha
affermato che ancora oggi nei tribunali non si conoscono le
dinamiche e le caratteristiche della violenza domestica ed è emerso un dato
inquietante da una ricerca condotta dalla Seconda Università degli Studi
di Napoli: il 70% delle donne uccise da uomini, aveva sporto denuncia.
E allora cosa non funziona nel sistema?
La giudice Paola Di Nicola ha detto che le donne
non sono credute e sono vittime di pregiudizi di genere mentre Fabio
Roia ha stigmatizzato la cultura sessista che ancora impera tra i
magistrati: “La forza dello stereotipo è una profezia che si autoavvera. La
narrazione fondata sul pregiudizio è quella ritenuta più attendibile perché il pregiudizio
è diffuso. In molti casi la vittima è anche unico testimone di quanto
avvenuto e dunque è molto importante il modo in cui viene raccolta questa
testimonianza, e anche che la sua testimonianza sia tienuta affidabile. Invece
spesso viene richiesto che la vittima si discolpi da attteggiamenti considerati
troppo disinvolti, o da una vita libera, prima di essere creduta. Questo è un
paradosso perché mentre la vittima testimonia sotto giuramento, l’imputato non giura
e ha diritto di costruirsi una strategia difensiva volta a screditare la
vittima”.
L’approccio alla testimonianza della parte lesa
continua ad essere la ripetizione di un racconto dettagliatissimo fin nei
minimi particolari delle violenze subite, esponendo le vittime ad una sorta di
prova ordalica (può accadere anche a bambine o bambini) e a ciò si aggiunge
l’esperienza terribile di sentire stravolgere nel processo la narrazione di ciò
che in prima persona si è vissuto. Eppure ci sono gli strumenti per modificare
il modo di condurre le indagini e di valutare la testimonianza delle vittime.
Le ricerche scientifiche, per esempio, hanno da tempo scoperto che il trauma
impedisce la capacità di memorizzare in maniera lineare gli eventi, e quei
“punti oscuri” che vengono usati contro la credibilità delle donne dovrebbero
essere letti, invece, come un indizio che il trauma c’è stato.
Spesso la libertà di giudizio dei magistrati è anche
limitata da illazioni o cattive interpretazioni di fatti scollegati dal reato o
da aspettative irrealistiche sui comportamenti che dovrebbe avere una vittima
dopo la violenza: come il caso della donna che non venne creduta perché il
giorno seguente lo stupro aveva avuto un rapporto sessuale col proprio
compagno. La lancetta del tempo ci ha riportato indietro anche nella società.
Molte donne non sanno riconoscere la violenza anche se avvertono disagio e
sofferenza e molti uomini, soprattutto giovani, non sanno nemmeno che ciò che
hanno commesso sia un reato e sono stupiti di dover affrontare un processo.
Se i comportamenti sessuali delle donne sono cambiati rispetto a
trent’anni fa, non è cambiato il modo di guardare alla sessualità femminile e
ai corpi delle donne percepite non come soggetti desideranti che hanno diritto
di scegliere come vivere la loro sessualità ma come oggetti che si rendono
disponibili e che quindi devono accettare lo stupro come conseguenza dei
loro comportamenti.
Quando le porte del tribunale si chiudono davanti alla
richiesta di giustizia delle donne restano fuori le loro parole: “Non mi
riconosco più, non sarò più la stessa persona che ero, non mi fido nemmeno di
chi amo, a volte ho paura anche di loro. In certi momenti non riesco a
sentirmi, a provare un sentimento, mi sento sola come in un deserto piatto senza
fine. Mi è stato tolto qualcosa che non potrò più riavere, chi me l’ha tolto
nega di averlo fatto, o forse nemmeno lo sa. Ho paura che nessuno mi creda, mi
sento sporca indegna nessuno potrà più amarmi, a volte io stessa non riesco a
credere a quanto è successo, penso di impazzire”.
Chi subisce violenza, ha spiegato Teresa
Bruno, psicologa dell’associazione Artemisia, “si percepisce privo di senso
e di valore e, spesso, se ne assume la colpa. E’ un attacco maligno al
senso d’identità e ai legami che permettono un pensiero coerente su se stessi e
il mondo. L’impunità dei persecutori è garantita dalla vergogna e dal silenzio
delle vittime e dal volgere lo sguardo altrove dei testimoni. Studi e ricerche
individuano il sostegno sociale come primo fattore di guarigione dal
trauma, sia esso collettivo o individuale”.
La comprensione e la solidarietà degli esterni,
l’ascolto non giudicante, la capacità di non voltarsi dall’altra parte
relegando nella solitudine, nel silenzio e nell’impotenza le vittime e i testimoni
coinvolti, sono le prime medicine.
Questo è ciò che dovrebbero trovare le vittime di
violenza nei tribunali.
Nadia Somma - Attivista presso il Centro antiviolenza Demetra
Nessun commento:
Posta un commento